
Nel suo trattato Gli otto spiriti della malvagità, Evagrio Pontico, monaco e teologo del IV secolo, descrive l’avarizia come una passione insidiosa, radice di ogni male (1 Tm 6,10) e generatrice di infinite catene per l’anima. Attraverso immagini vivide e paradossi spirituali, Evagrio contrappone la libertà del monaco povero alla schiavitù del ricco, mostrando come l’attaccamento alle ricchezze corrompa non solo la vita materiale, ma soprattutto quella interiore.
L’avarizia: radice velenosa e rami velenosi
Evagrio paragona l’avarizia a un albero maligno i cui rami sono le altre passioni: anche se si potano i vizi superficiali l’ira, la lussuria, la vanagloria essi rispuntano incessantemente finché la radice avida rimane intatta (n. 1-2). L’avarizia, dunque, non è un male tra tanti, ma il male che alimenta tutti gli altri. Per il monaco, questa passione è particolarmente pericolosa perché trasforma la vocazione alla libertà evangelica in un servaggio alle cose:
“Il ricco monaco è come una nave troppo carica che viene sommersa dall’impeto di una tempesta” (n. 3).
Mentre il monaco povero, leggero come un’aquila (n. 5), vola verso il cielo senza legami, il ricco affonda sotto il peso delle preoccupazioni, legato alla terra come “un cane alla catena” (n. 7). La morte, per l’avaro, diventa un dramma, perché l’anima rimane aggrappata ai beni perduti, mentre per il povero è un distacco sereno, un volo verso l’eterno.
L’insaziabilità: il mare che non si riempie mai
Evagrio cita l’Ecclesiaste (Qo 1,7) per descrivere la natura insaziabile dell’avaro: come il mare che riceve fiumi senza mai traboccare, così il desiderio di ricchezze “non è mai sazio” (n. 8). L’accumulo non placa il cuore, ma lo rende sempre più vorace, in una spirale senza fine che solo la morte interrompe. Questo meccanismo perverso svia il monaco dalla sua vera missione la preghiera, la contemplazione per ridurlo a un mercante affannato (n. 12).
La libertà evangelica: il monaco “senza nulla”
In opposizione all’avaro, Evagrio esalta la figura del monaco libero, che “nulla possiede” (n. 4). Questi non è un mendicante per caso, ma un atleta spirituale: un “pugile che non può essere colpito” (n. 10), perché sfugge alle seduzioni del mondo, e un “corridore veloce” verso il premio celeste (Fil 3,14). La sua povertà non è privazione, ma kenosis: uno svuotamento che gli permette di essere riempito da Dio.
Mentre l’avaro “riempie d’oro i suoi recessi”, il monaco povero “tesoreggia in cielo” (n. 13, Mt 6,20). La differenza è radicale: l’uno adora un idolo nascosto la ricchezza, “simulacro” di felicità (n. 14), l’altro adora il Dio vivente.
Una provocazione per oggi
Evagrio non condanna la ricchezza in sé, ma l’affetto disordinato per essa, che rende l’uomo schiavo. La sua riflessione è un monito per ogni epoca, soprattutto in un mondo che misura il valore in possessi e status. L’avarizia, oggi, si traveste da sicurezza, successo o consumismo, ma il cuore del problema rimane lo stesso: cosa lega la nostra anima?
La via proposta da Evagrio è quella della libertà interiore: “Le mani sono sempre sufficienti a servire il corpo” (n. 9). È un invito a discernere tra bisogni reali e desideri illusori, a cercare non ciò che appesantisce, ma ciò che eleva. Perché, come scriveva un altro grande monaco, San Francesco: “È dando che si riceve” e solo chi sa donare, in fondo, possiede davvero.
L’avarizia, per Evagrio, è più di un vizio: è una distorsione dell’amore, un attaccamento che sostituisce Dio con le cose. La sua cura? L’esercizio della povertà del cuore, che non è miseria, ma spazio per l’infinito. Come l’aquila delle sue parole, solo chi si alleggerisce può volare verso la luce.
L’avarizia oggi: nuove forme di un antico vizio
Nel contesto contemporaneo, l’avarizia non si manifesta solo come accumulo smodato di ricchezze, ma anche come:
1. Attaccamento all’efficienza e al successo – La mentalità consumistica e competitiva spinge a cercare sicurezza nei beni materiali, nel prestigio o nel controllo, sostituendo la Provvidenza divina con l’illusione di autosufficienza.
2. Accaparramento di risorse – In un mondo di disuguaglianze, l’avarizia si traduce in indifferenza verso i poveri, spreco o rifiuto di condividere, violando la comunione cristiana (cfr. 1 Gv 3,17).
3. Avarizia spirituale – Evagrio avvertiva che il demone dell’avarizia si insinua anche nei monasteri, sotto forma di attaccamento a libri, oggetti sacri o persino a esperienze mistiche, trasformando in idoli ciò che dovrebbe condurre a Dio.
La terapia di Evagrio: libertà del cuore
Per Evagrio, la lotta contro l’avarizia passa attraverso:
– Il distacco evangelico – Ricordare che “la radice di tutti i mali è la cupidigia del denaro” (1 Tm 6,10) e praticare la povertà interiore, come suggerito da Gesù (Mt 6,19-21).
– L’elemosina come medicina – Donare non è solo un atto morale, ma un’ascesi che scioglie le catene dell’egoismo e apre alla grazia.
– La preghiera del cuore – L’avarizia nasce da un vuoto esistenziale che solo Dio può colmare. Evagrio insegna che la preghiera pura, libera dalle immagini materiali, unisce l’anima al Creatore, fonte di ogni bene.
Oggi, il cristiano è chiamato a vigilare sulle nuove maschere dell’avarizia, ricordando l’ammonimento di Evagrio: “Se vuoi conoscere la misura della tua avarizia, osserva quanto ti rattristi quando perdi qualcosa” (Sentenze dei monaci). La libertà interiore si conquista con la fiducia in Dio e la condivisione, trasformando i beni terreni in strumenti di amore, non in fini assoluti.
Domanda per la riflessione:
In che modo la tua vita spirituale risente dell’attaccamento a cose, sicurezze o ambizioni?
Come potresti praticare oggi un gesto di distacco evangelico?
diacono Tonino Maiorana
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