
I giovani di oggi, forse più di ieri, non hanno bisogno di lezioni accademiche, ma di testimoni veri, uomini e donne che sappiano passare dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo.
Hanno bisogno di incontrare una Chiesa che li accolga e li accompagni, non solo con parole, ma con presenza, ascolto e calore umano.
Per questo credo che tutto il cammino di preparazione al matrimonio debba svolgersi all’interno della propria comunità parrocchiale di appartenenza.
È lì che i fidanzati possono conoscere meglio la loro parrocchia, i sacerdoti, i diaconi, le famiglie, i catechisti, i volti concreti che formano la loro comunità di fede.
Solo così potranno sentirsi davvero parte di una famiglia spirituale e comprendere che la Chiesa non è un luogo dove si “riceve un sacramento”, ma una casa dove si vive l’amore di Dio.
Il matrimonio cristiano nasce e cresce dentro una comunità che prega, accompagna e sostiene: perché nessuno può imparare ad amare da solo.
E allora, permettetemi di dirlo con il cuore in mano:
forse stiamo delegando ad altri un compito che è prima di tutto nostro.
È come se avessimo smesso di credere che il Vangelo ha ancora qualcosa da dire ai giovani che si amano.
Eppure, sono tanti quelli che ancora bussano alla porta della Chiesa, chiedendo di sposarsi “davanti a Dio”.
Ma troppo spesso trovano porte chiuse, o peggio, percorsi freddi e impersonali.
Credo che questo sia un segnale serio.
Forse se tante coppie oggi scelgono di convivere o di sposarsi civilmente, un po’ di colpa è anche nostra.
Perché non abbiamo avuto tempo, o meglio, non ci siamo presi il tempo, per camminare con loro, ascoltarli, accoglierli, accompagnarli.
Abbiamo preferito delegare, affidando la formazione a figure esterne, per quanto competenti, ma non parte attiva alla vita della comunità parrocchiale.
I fidanzati non cercano conferenze, cercano testimonianze.
Non parole, ma volti che parlano di Dio.
Come ci ricorda Papa Francesco in Amoris Laetitia:
“La preparazione dei fidanzati al matrimonio non è un corso, ma un cammino di fede da vivere nella comunità” (AL 207).
E allora, perché spedirli altrove?
Perché farli girare di parrocchia in parrocchia alla ricerca di un “corso”?
Ogni comunità dovrebbe avere la forza e la gioia di accogliere i propri fidanzati, di camminare con loro, di farli sentire a casa.
Perché è lì, nella loro parrocchia, che riceveranno il sacramento; è lì che cresceranno come famiglia di Dio; è lì che torneranno, magari con i loro figli, a ringraziare il Signore.
San Giovanni Paolo II, nella Familiaris Consortio, ci aveva già avvertiti:
“La preparazione al matrimonio deve essere inserita organicamente nella pastorale parrocchiale” (FC 66).
Sono parole profetiche.
Non basta parlare di matrimonio cristiano: bisogna testimoniarlo.
Chi vive il Vangelo può annunciare la bellezza di un amore fedele, libero e fecondo.
Chi si lascia amare da Cristo può insegnare ad amare davvero.
Ecco perché dobbiamo tornare ad essere compagni di viaggio dei fidanzati.
Non delegare, ma camminare accanto.
Non spiegare soltanto, ma vivere con loro la bellezza del “sì” pronunciato davanti a Dio.
Il matrimonio non si prepara in aula, ma nel cuore.
Non con lezioni, ma con relazioni.
Forse la più bella catechesi che possiamo offrire resta sempre la stessa:
“L’amore non avrà mai fine” (1Cor 13,8).
Riflessione personale
Credo che questo sia uno dei compiti più urgenti per noi che serviamo la Chiesa: ritornare al cuore della relazione.
Accompagnare i fidanzati non è solo un dovere pastorale, ma è un gesto d’amore.
Significa credere che, in quel “sì” che due giovani pronunciano, Dio continua a scrivere la Sua storia d’amore con l’umanità.
Sono convinto che lo scopo fondamentale degli itinerari in preparazione al sacramento del matrimonio non debba essere quello di trasmettere nozioni, ma di far comprendere l’amore incondizionato di Gesù verso gli sposi e di aiutarli a conoscere meglio Gesù, che si fa loro compagno di viaggio, presente in ogni momento della loro vita matrimoniale.
Lui è lì, nel quotidiano, nei silenzi, nelle fatiche, nelle gioie. Basta saperlo ascoltare, riconoscerlo nei gesti semplici, nei perdoni reciproci, nella tenerezza che risana.
Come fece Maria alle nozze di Cana, anche a noi la Chiesa ricorda oggi:
“Fate quello che Lui vi dirà!” (Gv 2,5)
È questo il segreto di ogni amore che vuole durare.
Lasciare che Gesù sia al centro.
Solo così il matrimonio cristiano non sarà un impegno a due, ma un’alleanza a tre: lui, lei e Cristo che unisce, accompagna e benedice.
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