
Come diacono della Chiesa cattolica, sento la bellezza e la responsabilità del mio ministero come servizio al Popolo di Dio. Ma proprio in questo servizio, avverto ogni giorno quanto sia necessario lasciarmi interrogare, correggere, rinnovare.
Nelle nostre comunità cristiane, ciascuno è chiamato ad essere segno vivo dell’amore di Dio. Ma non sempre ci riusciamo. E così mi chiedo, e chiedo anche a te che leggi:
Quante volte, anche senza volerlo, hai spento un entusiasmo invece di alimentarlo?
Quante volte hai frenato un’iniziativa perché non partiva da te?
Quante volte hai dimenticato che la Chiesa non è fatta per risplendere da soli, ma per brillare insieme?
«A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7)
L’altro non è un rivale, ma un fratello. La sua luce non toglie nulla alla mia. La sua voce può completare la mia. La sua presenza può essere un dono, anche quando mi mette alla prova.
Ma per riconoscerlo, devo disarmare il mio cuore, lasciare da parte il bisogno di primeggiare, e scegliere ogni giorno di camminare con gli altri, non davanti a loro.
Mi domando:
So ancora gioire sinceramente per i doni altrui?
So lasciarmi sorprendere dallo Spirito che soffia dove vuole?
Oppure tutto deve passare da me?
«Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30)
È una parola dura, ma liberante. Mi ricorda che non sono io il centro. Che non servo per ricevere gratificazioni, ma per rendere gloria a Dio. Che la mia vocazione è essere ponte, non traguardo.
E allora comprendo: nessuna attività pastorale, nessuna iniziativa ecclesiale è mia.
Tutto ciò che faccio dev’essere frutto di comunione, risultato di un ascolto reciproco, non di una decisione presa da solo.
Anche il progetto più bello, se nasce in solitudine, rischia di diventare sterile.
Anche il servizio più generoso, se non condiviso, può trasformarsi in motivo di divisione.
«Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3)
E io? So ascoltare davvero?
So fare un passo indietro?
So rinunciare a qualcosa di mio per un bene più grande?
So accettare che se una cosa che ho fatto non è stata riconosciuta, non è un’ingiustizia…
ma forse è semplicemente il Vangelo, che si realizza nel nascondimento?
Mi rendo conto che la comunione non è una strategia pastorale, ma una scelta di santità. È smettere di dire “questo è il mio compito”, e iniziare a dire: “questo è il nostro cammino”.
È lasciarsi aiutare, anche quando costa.
È riconoscere che l’altro, quando non mi capisce o mi supera, non mi toglie qualcosa…
forse mi sta portando in braccio, quando io non ho più forza.
E allora mi fermo. Non per accusare gli altri, ma per guardarmi dentro.
“Signore, sto dando più spazio a Te o al mio ego?
Le scelte che faccio sono realmente frutto di ascolto e di comunione?
So gioire per il bene della Chiesa anche se non porta il mio nome?”
«Tutti i fedeli, in forza della rigenerazione in Cristo, hanno la dignità di figli di Dio e la corresponsabilità nella missione della Chiesa» (CCC 871)
Prima di chiedere che qualcosa cambi fuori, scelgo di cambiare dentro.
Chiedo perdono per le volte in cui ho rallentato il passo degli altri, invece di sostenerli.
Per quando ho costruito muri, invece di ponti.
Per quando ho voluto essere ammirato, più che essere servo.
«Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene…» (Mt 7,5)
E ora, con lo sguardo fisso su Cristo Servo (diacono del Padre), lasciamoci tutti provocare:
Essere diacono, nella Chiesa,
non è un onore da difendere, ma una vita da donare giorno dopo giorno, in silenzio, dove spesso nessuno guarda.
Essere diacono è incarnare il Vangelo,
stare negli interstizi delle relazioni, accogliere chi è ai margini, custodire la comunione con mani nude e cuore ferito.
È chinarsi ogni giorno perché altri possano rialzarsi.
È fare spazio, anche quando costa.
È servire, anche quando nessuno ringrazia.
È tacere, per lasciare che parli la voce di chi non è ascoltato.
È camminare dietro, per sostenere chi rischia di restare indietro.
È gioire quando qualcuno prende il volo, anche se quel volo non porta il nostro nome.
È benedire la crescita dell’altro, anche quando la nostra resta nascosta.
Essere diacono è fare il bene,
anche se nessuno lo vede, sapendo che il solo vedere la comunità crescere, guarire, camminare…
è già ricompensa. È già Vangelo.
E se ciò che ho fatto con amore non viene gratificato, non per questo l’altro è un mio rivale.
Forse, proprio quell’altro, mi sta portando in braccio quando io non ho più forze.
Forse è la carezza di Dio sulle mie fatiche, quel gesto silenzioso che consola più di mille parole.
Perché nella Chiesa nessuno si salva da solo e nessuno cammina da solo.
Tutti portiamo e siamo portati.
Tutti serviamo e siamo serviti.
Tutti costruiamo, anche quando non vediamo l’opera finita.
E allora, fratelli e sorelle, scegliamo ogni giorno di dare ali, non di spezzarle.
Scegliamo di essere servi, non padroni delle cose sacre.
Scegliamo di costruire comunione, anche quando costa fatica, tempo, umiliazione.
Solo così
il nostro ministero sarà davvero fedele,
il nostro servizio sarà davvero fecondo,
il nostro cammino sarà davvero Vangelo.
Preghiera del diacono per la comunione
Signore Gesù,
Servo per amore,
insegnami a servire senza impormi,
a sostenere senza controllare,
a costruire senza escludere.
Fammi custode della comunione,
non con le parole, ma con le scelte quotidiane.
Donami un cuore umile, che sa ascoltare,
una mente libera, che sa accogliere,
e mani aperte, che sanno accompagnare.
Liberami dalla paura di non contare,
dall’ansia di decidere da solo,
dal desiderio di piacere più che di amare.
Fa’ che ogni attività che vivo
sia segno di comunione,
e ogni scelta sia frutto dello Spirito
che parla nella voce dei fratelli.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen.
Con affetto
diacono Tonino Maiorana
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Bella riflessione fratello Tonino il Signore ci dia la Gioia di Servire sempre con gratuitá e magnaminitá .Dio ti benedica e ti custodisca.