Omelia di Mons. Moraglia, Patriarca di Venezia sulla figura del diacono.
Il primo elemento è la vocazione, il cui «autore è il Signore Gesù, che vi ha chiamati e accompagnati passo dopo passo: la vocazione non è una nostra iniziativa ma una nostra risposta, un dono che non ci siamo dati».
Se l’avere una chiara identità personale è requisito fondamentale di ogni discepolo del Signore, tanto più i ministri ordinati devono «aver presente chi sono e cosa sono mandati a fare, cogliendo la vocazione come dono e grazia da custodire sempre, con vigilanza e attenzione». «La vocazione non deve essere percepita come possesso personale o occasione di dominio: ci è stata data per grazia, dall’Altro».
L’ordinazione è un momento ecclesiale: «è al Vescovo che si dice il proprio sì e, attraverso di lui, a Dio e alla Chiesa. Si è fuori della realtà ecclesiale se, per seguire il proprio io, si cercano scorciatoie rispetto a questa comunione che è la Chiesa».
L’impegno che prendono i diaconi «non è per un po’ di tempo o fino a quando vi sentirete di farlo; ma per sempre – senza se e senza ma; è il dono totale di voi stessi al Signore Gesù e al popolo di Dio che vi sarà affidato; è un sì pieno e totale, sull’esempio di Maria».
Il “per sempre” del diacono riguarda anche il celibato: «La scelta libera, l’impegno gioioso del celibato assimilano a Cristo». Con l’ordinazione, «il diacono diventa ontologicamente simile a Cristo-servo del popolo di Dio: è una somiglianza sacramentale, non solo di tipo morale o ascetico.
Il servizio delle mense e della Parola – ricordano gli Atti degli Apostoli – richiede nel diacono la presenza obiettiva di Cristo che serve il Padre e i fratelli». «Dovete esser percepiti come segni storici e sociali di Cristo e della sua opera salvifica a servizio degli uomini considerati nella concretezza e totalità dei loro bisogni e fragilità».
Tale servizio «nasce dall’altare, si prende cura di tutto l’uomo – le opere di misericordia spirituali e materiali – e ritorna all’altare», perché ogni cosa è finalizzata alla vita eterna. L’annuncio cristiano non può «inserirsi solo in modo collaterale all’ambito umano, come se potesse esistere un’umanità che prescinda da Gesù Cristo». Gesù non può essere chiamato in causa solo in un secondo momento, quasi come se nell’uomo si potesse separare spirito, anima e corpo.
Il ministero diaconale «porta a ripetere – sul piano obiettivo dei sacramenti – i gesti di Gesù, il servo obbediente che mai rifiuta l’aiuto richiesto e sempre si china sull’uomo che incontra, facendosene carico a partire dalle sue povertà».
«Sappiate sempre riconoscere, con stupore e gratitudine, la particolare presenza di Cristo in voi, che vi chiede di essere servi idonei, nella vostra libertà e umanità. Non siete più soli, abbandonati alla vostra umanità, ma diventate vero e reale prolungamento di Dio».
E l’unico modo «per esprimere la gratitudine a Colui che – senza vostro merito – vi chiama a tale servizio sarà l’esercitare il ministero dove sarete mandati e non dove vi pare, il partecipare alla vita diocesana, il tenere viva la comunione con gli altri diaconi».
«Da oggi, in modo del tutto diverso rispetto ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, diventate servitori della vigna del Signore. Scelti da Gesù, a Lui assimilati, ricevete da Lui un potere reale e obiettivo, che vi pone oltre le vostre forze umane e vi abilita a compiere azioni e a proferire parole che non sono più al livello dei gesti e delle parole umane».
I gesti liturgici all’altare, la parola annunciata dinanzi all’assemblea, il servizio delle mense sono compiuti non solo in forza di un vostro impegno personale, ma «in nome e con l’autorità del Cristo servo, mandato dal Padre per la salvezza del mondo».
L’augurio finale è «che i fratelli ai quali sarete mandati riconoscano nella vostra voce la voce del Signore Gesù e nei vostri gesti i Suoi gesti».