
Ogni giorno accendiamo la televisione o scorriamo le notizie sul telefono. Ogni giorno le stesse immagini: palazzi sventrati, volti coperti di polvere e lacrime, corpi piccoli e immobili sotto coperte improvvisate. Ogni giorno – e da troppo tempo – ci siamo abituati a parole come attacco, rappresaglia, missile, vittime civili, come se facessero parte del lessico naturale della nostra esistenza.
Ma nulla è normale. Nulla è umano.
Eppure loro continuano. Continuano a giocare alla guerra come se fossero seduti a una scacchiera, muovendo pezzi che non sono torri o cavalli, ma esseri umani. Uomini, donne, anziani. Bambini. Bambini! Sono loro a pagare il prezzo più alto, a diventare le prime vittime di una follia che non ha più confini, né cuore.
E allora mi chiedo: dove sono finiti gli uomini? Dove sono i cuori? Dove sono le lacrime dei potenti?
Stati Uniti, Russia, Israele, Ucraina, Iran, la Striscia di Gaza… e l’elenco continua. Ogni nazione coinvolta invoca motivazioni diverse: difesa, giustizia, libertà, sicurezza. Ma la verità è una sola: la guerra uccide l’uomo e oltraggia Dio. La pace non nasce dai missili, la libertà non si costruisce con le bombe, la sicurezza non si impone col terrore. Questi sono solo veli dietro cui si nasconde un potere cieco e sordo. Cieco davanti alle sofferenze. Sordo al grido del popolo.
E mentre i palazzi del potere brillano di luci e formalità, le città del mondo si riempiono di tombe.
Ed è qui che il paradosso ci colpisce come uno schiaffo: tanti di questi leader si professano credenti. Cristiani, ebrei, musulmani. Invocano Dio nei loro discorsi, nei loro giuramenti, nelle loro bandiere. Ma quale Dio? Quale Dio ascolta e tace di fronte a tutto questo sangue innocente? Non certo il Dio della Bibbia, del Vangelo, del Corano.
Perché il Dio vero è quello che piange. È il Dio che si china sulle ferite, che ascolta il pianto delle madri, che sta con i perseguitati, che si fa Bambino tra le macerie di Betlemme, che grida sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. E noi? Sappiamo quello che stiamo facendo?
È arrivato il momento di dire basta. Di alzarci in piedi. Di gridare con forza che la guerra è un peccato, un abisso, una bestemmia contro il Dio della vita.
Abbiamo un pastore che lo grida senza paura. Papa Leone XIV, appena eletto alla guida della Chiesa, ha pronunciato parole chiare, profetiche, forti: “Stop alla guerra. La pace non è un’utopia, è un dovere evangelico e umano.” Queste parole, tra le prime del suo pontificato, non sono solo un appello ai cuori buoni: sono una sfida diretta ai potenti della terra, un invito alla conversione, un richiamo urgente all’ascolto del Vangelo della pace.
Il suo magistero, pur agli inizi, si è già fatto voce per chi non ha voce. Ha parlato di “idolatria del potere”, di “indifferenza che uccide più delle armi”, di un’umanità che deve scegliere se costruire con l’amore o distruggere con l’odio. Papa Leone XIV ci sta ricordando che non basta pregare per la pace: bisogna lottare per essa, con gesti concreti, con scelte coraggiose, con la rinuncia al male in tutte le sue forme.
E allora, anche noi, come credenti, come uomini e donne di fede, dobbiamo risvegliarci. Le nostre chiese non possono restare tiepide. Le nostre coscienze non possono rimanere in silenzio.
Il Vangelo ci obbliga a scegliere da che parte stare. E non è la neutralità dei benpensanti a salvare il mondo, ma il coraggio dei testimoni.
Come diacono, servo del popolo e della Parola, io voglio mettermi dalla parte degli ultimi. Voglio camminare con chi è sotto le bombe, con chi ha perso tutto, con chi non ha voce.
Scrivo questa mia riflessione proprio oggi, nella solennità del Corpus Domini, mentre il Corpo di Cristo attraversa le nostre strade, silenzioso e vivo. E col cuore in mano, affido la mia preghiera a Gesù Eucaristico: Lui che si è spezzato per amore, Lui che non ha armato le mani ma le ha aperte sulla croce, Lui che resta presente nell’ostia per stare con i piccoli, i poveri, i feriti. A Lui consegno il grido della Terra, il pianto dei bambini, il dolore dei popoli, la cecità dei potenti.
E a voi, capi delle nazioni, dico con rispetto ma con fermezza: guardate negli occhi le vostre madri. Guardate negli occhi i vostri figli. Guardate la Bibbia che giurate di rispettare. Guardate le vostre mani. E poi, trovate il coraggio di fermarvi. Di chiedere perdono. Di costruire ponti, non muri. Di versare lacrime, non sangue.
Perché la storia non vi giudicherà per quanto avete comandato, ma per quanto avete amato.
E Dio… Dio vi chiederà conto non dei vostri confini, ma dei vostri fratelli.
Stop alla guerra. Cominciamo ad amarci.
La pace non si impone: si testimonia.
diacono Tonino Maiorana
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