
L’omelia non è un semplice discorso. È un atto liturgico, un momento in cui la Parola proclamata si fa carne nella vita dell’assemblea, così come il Verbo si è fatto carne in Cristo.
San Giovanni Crisostomo, grande predicatore della Chiesa antica, diceva: “La predicazione è il nutrimento dell’anima; se manca, l’anima muore di fame.”
Quando il vescovo, il sacerdote o il diacono predica, non porta idee personali, ma si fa strumento perché sia Dio a parlare. Come afferma sant’Agostino: “Io sono pastore con voi, ma sono cristiano con voi; per voi sono vescovo, con voi sono discepolo di Cristo.” Il predicatore, dunque, è prima di tutto un fratello che cammina insieme agli altri.
Breve, chiara e per tutti
L’omelia non deve essere lunga, ma luminosa. San Francesco di Sales raccomandava: “Parlate di Dio con semplicità, e vi ascolteranno con il cuore.” La brevità e la chiarezza non sono povertà di contenuto, ma rispetto per l’assemblea, che ha bisogno di parole vive e comprensibili.
Gesù stesso predicava con parabole semplici: il seme, il lievito, la pecora smarrita… immagini che chiunque poteva comprendere. Così anche oggi, il linguaggio dell’omelia deve essere accessibile, capace di arrivare al contadino come al professore, al giovane e all’anziano, senza barriere.
Attualizzare le letture
Il Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum Concilium, ricorda che l’omelia deve attingere “alla Sacra Scrittura e alla vita”. San Gregorio Magno, uno dei più grandi pastori della Chiesa, lo spiegava così: “Il predicatore deve immergere la sua anima nella contemplazione e poi estrarre parole per il popolo, affinché ciò che egli ha contemplato in Dio diventi alimento per i fedeli.”
Attualizzare le letture significa farle entrare nella vita quotidiana. Se il Vangelo parla di misericordia, l’omelia aiuta a capire come vivere quella misericordia nel nostro condominio, al lavoro, in famiglia. Se parla di fede, il predicatore mostra come mantenere fiducia in Dio in un mondo che sembra smarrire il senso del sacro.
Mai un rimprovero sterile
Un’omelia non è un atto di accusa. San Giovanni Maria Vianney diceva: “La predicazione deve essere come un fuoco che scalda, non come una frusta che ferisce.”
Ci sono correzioni da fare, certo, ma devono essere date con lo spirito di san Paolo, che ammoniva i cristiani “con lacrime” (At 20,31), non con durezza. Il predicatore è un compagno di cammino, non un giudice; uno che tende la mano, non uno che punta il dito.
Un messaggio di speranza e di amore
Per i Padri Apostolici, come sant’Ignazio di Antiochia, l’annuncio cristiano era sempre intriso di speranza: “Dove c’è Gesù Cristo, lì c’è la Chiesa e c’è la vita eterna.”
L’omelia, se è fedele al Vangelo, non può che trasmettere questo: la certezza che Dio non abbandona, che l’amore è più forte di ogni peccato, che la croce non è mai l’ultima parola.
Quando un’omelia è preparata con preghiera, ascolto e amore, diventa memoria viva del Risorto e incoraggiamento concreto a seguirlo. Come diceva santa Teresa di Lisieux: “La mia vocazione è l’amore.” L’omelia, in fondo, non è che un atto d’amore: amore verso Dio, amore verso chi ascolta.
Un invito personale
Chi ascolta non sia spettatore passivo, ma discepolo attento. Chi predica ricordi che le sue parole devono prima toccare il proprio cuore.
Perché l’omelia non è un’opinione: è il prolungamento della Parola di Dio, che scende dalle pagine della Scrittura per abitare la nostra vita. E come insegna san Girolamo: “Ignorare le Scritture è ignorare Cristo.”
Conclusione
Se l’omelia è fatta bene, diventa un momento in cui il cielo tocca la terra, in cui il cuore dell’uomo si apre alla voce di Dio. Ma perché ciò avvenga, bisogna dare più spazio all’ascolto della Parola di Dio e meno spazio alla parola dell’uomo.
Non siamo noi a dover riempire il silenzio con le nostre opinioni: è Dio che ci parla, e noi dobbiamo ascoltarlo. In quel momento, nella comunità riunita, è Lui il maestro, e le nostre parole non devono fare altro che condurre tutti al cuore della Sua Parola.
Permettetemi di aggiungere una cosa: queste parole le dico anzitutto a me stesso. Perché ogni volta che predico, devo ricordarmi di non mettere avanti il mio “io”, di non pormi un gradino più in alto rispetto a chi ascolta. Anch’io sono discepolo tra discepoli, bisognoso di conversione e di luce, e l’omelia è prima di tutto un richiamo per me, affinché sia la Parola di Dio, e non la mia, a raggiungere i cuori.
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